Negli ultimi tempi si è osservato un aumento significativo dei casi di Sindrome da Vomito o Vomiting, rispetto all’anoressia e la bulimia. Le ragazze con tendenze bulimiche o anoressiche scoprono che vomitare consente loro di tenere sotto controllo il peso senza dover rinunciare al piacere del cibo e evitano anche di mettere in allarme la famiglia in quanto, riescono a mantenersi di qualche chilo sopra o sotto il loro peso forma in modo che non si sentano sotto pressione
La letteratura (APA, 1994) classifica il vomiting come una variante dell’anoressia e della bulimia nervosa ma, la ricerca empirica (Nardone et al., 1999; Nardone et al., 2005) ha mostrato come il vomiting si basi su una struttura e un modello percettivo differenti. La bulimia (abbuffarsi e aumentare di peso) e l’anoressia (astenersi dal cibo per perdere peso) ne costituiscono la matrice ma, una volta instaurato, il vomiting perde ogni legame con il disturbo che ne ha causato l’insorgenza. Per la persona il vomiting rappresenta un modo per perdere peso o evitare di aumentare di peso, continuandosi a nutrire, una tentata soluzione disfunzionale. Quest’ultima all’inizio funziona ma, quando il ciclo abbuffata/vomito viene reiterato, si trasforma in un rituale piacevole e in pochi mesi diventa un piacere di cui non si può fare più a meno. I soggetti si abbuffano intenzionalmente per poi vomitare (Nardone, Verbitz e Milanese, 1999). Il piacere provato non è l’esito del mangiare ma, è dato dalla sequenza di tre fasi:
Una volta che la Sindrome da vomiting si è instaurata, il problema non è più quello di tenere
sotto controllo il cibo, ma la compulsione al piacere. Il mangiare e vomitare rappresentano
un incontro metaforico con un “amante segreto”.
Giorgio Nardone e il suo gruppo di ricercatori, nel ventennale studio sui disordini alimentari
e il loro trattamento in tempi brevi, hanno rilevato che circa il 70% di casi di patologia da
vomiting, presenta compulsioni autolesive (self-harming compulsion). Entrambi
rappresentano atti compensatori e autoregolatori che, con il passare del tempo, si trasformano
in compulsioni irrefrenabili per poi diventare un vero e proprio rito di piacere.
Le due forme di disturbo hanno un ruolo fondamentale per chi ne è affetto in quanto
rappresentano o la pura ricerca di sensazioni trasgressive o un sedativo nei confronti del
dolore, delle frustrazioni. I due aspetti compulsivi non si sviluppano contemporaneamente. I
dati raccolti dal Centro di Terapia Strategica di Arezzo mostrano come nella stragrande
maggioranza dei casi, emerga per primo il disturbo alimentare, poi quando quest’ultimo è
divenuto compulsivo, si aggiungono i comportamenti autolesivi; il disordine alimentare ne
costituisce la patologia di base.
Il mangiare, vomitare e torturarsi si struttura come una patologia compulsiva basata sul piacere o sull’effetto sedativo e si differenzia sia dalle altre forme di disturbo compulsivo basate sulla paura, sia dal disordine alimentare che l’ha inizialmente originata.
Il Binge Eating, secondo la nosografia psichiatrica tradizionale, è un disturbo del
comportamento alimentare che si caratterizza per episodi ricorrenti di abbuffate. Ad
un’osservazione più attenta, tuttavia, quello che accade in realtà è che chi soffre di questo
disturbo trascorre giorni mangiando troppo poco o non mangiando affatto per poi, sfinito,
perdere il controllo e abbuffarsi. L’abbuffata, quindi, è solo metà del problema. L’altra
metà è il digiuno che la precede.
Tuttavia, quando il paziente descrive con enfasi le sue voraci mangiate, il professionista che
ascolta (medico, nutrizionista o psicoterapeuta che sia) può essere tratto in inganno, finire per
concentrarsi sulle abbuffate e perdere di vista i digiuni. Il rischio diventa quello di tentare
di risolvere il problema proponendo una nuova “dieta” o “percorso nutrizionale”. Tuttavia, se osserviamo i fatti nel corso del tempo, ci rendiamo conto che le diete non solo
falliscono, ma inaspriscono il problema. Il circolo vizioso che alimenta il Binge Eating,
infatti, non è la mancanza di controllo, ma l’eccesso di controllo che prima o poi fa
perdere il controllo.
I risultati della ricerca intervento condotti da Giorgio Nardone presso il Centro di Terapia Strategica di Arezzo (Nardone et al., 1999; Nardone, 2003), compiuta su pazienti sovrappeso e/o affetti da disturbi del comportamento alimentare, hanno condotto all’individuazione di un peculiare quadro clinico connotato dall’alternanza di periodi prolungati di astinenza dal cibo e di adesione a un regime alimentare drammaticamente ipocalorico a momenti di consumo smodato del cibo, assimilabili a vere e proprie abbuffate ad altissimo introito calorico (Nardone et al., 2014).
Quando si osserva il problema per come funziona nella sua globalità (come caratteristico della Terapia Breve Strategica), risulta evidente che l’elemento caratterizzante del disturbo non è l’abbuffata, ma il digiuno o semi-digiuno che la favorisce.
Chi soffre di Binge Eating è sempre alla ricerca di nuove strategie per riuscire a concedersi solo il necessario per stare in piedi. Anche F. aveva consultato numerosi dietologi e nutrizionisti che erano diventati involontariamente maestri da cui apprendere l’arte del controllo (calcolo delle calorie, uso di pasti sostitutivi privi di sapore, tecniche per non sentire la fame e non cedere al piacere)
Le persone che soffrono di Binge Eating spesso definiscono se stesse bulimiche. Davanti alla descrizione delle loro colossali abbuffate, potrebbe venire spontaneo anche a numerosi professionisti definirle tali. Bulimia, infatti, significa avere una fame da bue (Nardone, 2013).
Tuttavia, tra Binge Eating e Bulimia c’è una differenza sostanziale:
Si tratta di una differenza importante. Nel primo caso infatti è essenziale rompere il circolo vizioso “digiuno-abbuffata”, nel secondo necessario creare una capacità autoregolativa. Studiare bene il funzionamento del problema nella singola persona è la prima cosa da fare. Una diagnosi operativa corretta è premessa essenziale per mettere in atto una terapia efficace ed efficiente (Nardone, Portelli, 2015).
Quando parliamo di Anoressia Nervosa ci riferiamo ad una condizione psicologica nella quale il soggetto decide deliberatamente di sottoalimentarsi in modo estremo nonostante abbia fame. Va, dunque, sfatato, in tal senso, il mito dell’assenza di appetito in chi soffre di tale patologia.
Nel libro best seller di Fabiola De Clerq “Tutto il pane del mondo” questo concetto è ben espresso dall’autrice, la quale sostiene che l’anoressica vorrebbe mangiare tutto il pane del mondo ma non lo può fare (SPR basato sul "piacere mancato”). Non se lo permette perché ha preso la decisione irrevocabile di non partecipare alla vita. La vita la vede scorrere ma non può prendervi parte anche se vorrebbe.
L’alimentazione è correlata al mantenimento della vita, al piacere ed alla convivialità. Aspetti questi che però nell’AN non esistono perché preminente è il controllo estremo sull’alimentazione, sul proprio corpo e sul mondo circostante. Questo tipo di ipercontrollo alimentare, vista la ridottissima quantità di nutrienti introdotti nell’organismo può portare alla morte ed infatti, rispetto alle altre malattie psichiatriche, è un disturbo che ha un alto tasso di mortalità. Esistono diverse possibilità terapeutiche finalizzate al recupero del peso e solitamente, vista la resistenza della malattia, si predilige una prospettiva multidisciplinare integrata, all’interno della quale diverse figure professionali possono collaborare in sinergia: medico di base, internista, nutrizionista, psicologo, psichiatra.
Tra i vari orientamenti, l’approccio breve strategico è quello che risulta particolarmente valido, veloce e concreto perché interviene con un numero di incontri ridotto rispetto agli altri approcci. Nello specifico, la terapia breve strategica interviene direttamente sul problema, attraverso l’utilizzo, tra le varie tecniche, di strategie verbali e prescrizioni comportamentali che vanno a ristrutturare l’esperienza emozionale negativa che si traduce dapprima in un diverso comportamento del paziente, senza che egli se ne renda conto, e successivamente in una presa di coscienza del circolo vizioso patologico innescato dalla malattia. È attraverso il colloquio strategico che si interviene per risolvere la problematica della persona anoressica
Bibliografia
Dott. Andrea Pinna
Psicologo
Cagliari, Arbus
Psicologo
Partita IVA 03800760922
Iscritto all'Ordine degli Psicologi della Sardegna col n. 3070 dal 26/05/2018