Le persone che soffrono di attacchi di panico sono terrorizzate dalle loro stesse sensazioni di paura nei confronti dello stimolo minaccioso, che tenteranno di combattere, come vedremo, in questo modo aumentandole; l’effetto, dunque, si trasforma in causa.
Risulta che non è l’ansia a scatenare la paura, ma è la paura ad innescare la reazione fisiologica dell’ansia, la quale acuisce sempre più con l’elevarsi della percezione di minaccia individuale, trasformandosi così da funzionale meccanismo di attivazione a perdita di controllo. Seguendo tale logica, se l’attivarsi dell’ansia è un effetto della percezione di stimoli interni o esterni all’organismo, le vie privilegiate di cura divengono la gestione e la trasformazione delle percezioni che attivano le reazioni del soggetto nei momenti di crisi, mentre la classificazione degli attacchi di panico tra i disturbi d’ansia porta a una distorsione dell’osservazione e della valutazione del disturbo, indicando come soluzione più adeguata la terapia farmacologica inibitoria dell’ansia stessa.
Non è un caso che il primo falso positivo nella diagnosi di panico sia rappresentato proprio dal disturbo d’ansia generalizzata, dove in realtà manca la totale perdita di controllo tipica del panico; lo stato di allarme è costante, con un innalzamento dei parametri fisiologici, che non giungono però al tilt. Il cambiamento terapeutico potrà avvenire soltanto all’interno della dinamica presente di persistenza del problema; quindi, agendo sul modo in cui l’individuo percepisce gli stimoli minacciosi e, reagendo ad essi, invece di gestirli funzionalmente, ne viene travolto.
Il focus dello studio è l’interazione dell’organismo con la sua realtà, alla quale risponde modificandola e venendone modificato. Il panico viene da più parti definito come la forma più estrema della paura che, se al di sotto di una certa soglia rappresenta una risorsa che consente di allertare l’organismo di fronte a situazioni pericolose, al di sopra di questo limite diviene patologica. Diverse sono le situazioni nelle quali il brivido della paura avvolge nelle sue spire la persona, ma analoga è la struttura di funzionamento del circolo vizioso che crea e mantiene la paura stessa, fino a farla divenire panico.
Le principali tentate soluzioni messe in atto dalle persone che soffrono di questo disturbo sono:
La reiterazione nel tempo di questo tipo di interazione incrementa la percezione della paura conducendo a un’esasperazione dei parametri fisiologici che si attivano naturalmente in presenza di stimoli minacciosi, sino all’esplosione del panico. Se si riesce, al contrario, a interrompere tali interazioni disfunzionali, la paura rientra nei limiti della funzionalità (Nardone, 1993, 2000, 2003).
Quest’ultima affermazione è stata proprio l’ipotesi dalla quale Giorgio Nardone e collaboratori, hanno mosso i primi passi per la messa a punto di specifici protocolli di intervento: se l’evitamento, la richiesta di aiuto e il tentativo di controllo fallimentare sono davvero ciò che trasforma una reazione di paura in panico, allora far sì che una persona sofferente per questo disturbo interrompa tali copioni di risposta dovrebbe condurre all’estinzione del disturbo stesso. Nel 1987 è stata realizzata la prima applicazione di un protocollo terapeutico specifico per gli attacchi di panico con agorafobia, basato su una sequenza strategica di stratagemmi terapeutici che creavano gli eventi casuali pianificati, che portavano i soggetti prima a sperimentare l’esperienza emozionale correttiva, per poi venire esposti gradualmente alle situazioni temute, toccando con mano le nuove capacità acquisite.
Bibliografia
Dott. Andrea Pinna
Psicologo
Cagliari, Arbus
Psicologo
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Iscritto all'Ordine degli Psicologi della Sardegna col n. 3070 dal 26/05/2018